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Il primo film di Trier coincide con il primo capitolo della trilogia di Oslo, ed è un bel modo di affacciarsi nel mondo della regia. È la storia di due amici, Philip e Erik, entrambi aspiranti scrittori, entrambi che in tempi diversi riescono a raggiungere la pubblicazione di un proprio libro, entrambi con conseguenze diverse nella propria vita. Entrambi i ragazzi, in questa storia di amicizia e formazione hanno delle fragilità importanti che portano il primo dei due ad avere un minimo di notorietà, Philip, a cadere repentinamente in un disturbo psicologico alienante, che lo costringe a mesi di cure psichiatriche, e da cui uscirà segnato, diverso e più fragile, in continua ricerca della vita di prima, addirittura cercando di scattare le identiche foto ormai perdute alla sua ragazza Kari. Erik, dal canto suo, riuscirà invece a maturare e cercare una realizzazione fino ad allora irraggiungibile. Il film ha un montaggio che è il valore aggiunto ad una storia già ben sviluppata di suo, con momenti di tensione misti a momenti divertenti e spensierati, in cui ci sono richiami ad una voce narrante alla Truffaut di Jules e Jim ma forse anche a Trainspotting (alcune scene sembrano vere e proprie citazioni), oltre ad un comparto musicale degno di nota, con una forte preponderanza per il punk. Peccato che l’essere in vo sottotitolato tenda a fare perdere un po’ il filo della pellicola, che per quanto sia più naturale e renda onore anche alle capacità dei ragazzi protagonisti, nessuno dei due attori professionisti, non agevola la scorrevolezza.
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