Le Otto Montagne – 2022

Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch firmano la regia di questo adattamento dell’ omonimo romanzo di Paolo Cognetti, che vede protagonisti Luca Marinelli e Alessandro Borghonei panni di Pietro e Bruno. Pietro è un dodicenne di Torino il cui padre Giovanni lavora come ingegnere alla Fiat. Un estate Giovanni, appassionato di montagna,decide di affittare una casa in un piccolo borgo in Val d’Aosta, a Graines. In questo paesino che conta solo poche decine di abitanti, c è solo un altro ragazzo, Bruno, che vive con gli zii pastori. I due passano tutto il periodo estivo e quelli degli anni successivi insieme, diventando legati l’ uno all’ altro di un amicizia profonda e pura, salvo poi per una serie di vicissitudini allontanarsi, soprattutto per colpa di Pietro che in adolescenza rompe i rapporti anche con il padre. Passati 15 anni, alla morte di Giovanni, Pietro torna a Graines e scopre che il padre gli ha lasciato una baita in rovina sul “loro” monte, e che Bruno e Giovanni avevano continuato a sentirsi e fare le loro escursioni. Resosi conto dei suoi errori, ricuce il rapporto con Bruno e insieme decidono di ricostruire la baita e usarla come loro casa estiva. Nel frattempo la vita va avanti, Pietro tra vari lavori comincia una serie di viaggi in Nepal, affascinato da quel mondo, e Bruno si sposa con una ex fiamma di Pietro,ha una figlia e si dedica al suo alpeggio e alla produzione di formaggio. Quando le cose cominciano ad andare male, Pietro torna dall’ amico per cercare di aiutarlo. La trama può sembrare semplice, ma è di una forza narrativa importante così come lo sono le interpretazioni dei due attori, in cui entrambi toccano vette alte senza mai andare sopra le righe. Difficile trovare uno dei due migliore, diciamo che ai punti per me vince il confronto Borghi perché ha un ruolo forse più delicato, quello del taciturno e rude montanaro che, se caricato troppo poteva risultare una macchietta ma riesce a dargli una umanità e una profondità importante, ma comunque è solo questione di gusti. Ma risulta bello tutto il film, distante dal quell’ essere troppo italiano, per dirlo alla Stannis, che hanno spesso le produzioni nostrane, e da una fotografia che nonostante la vastità dei paesaggi messi in scena non è mai troppo cartolina, usandolo come protagonista aggiunto ma silente alla storia, e riesce a rendere simile il Nepal alla Val D’Ayes, così da rendere i due diversi scenari nella stessa lunghezza d’onda per lo spettatore nella familiarità dei due protagonisti. Una storia di formazione e di amicizia tra due uomini simili e diversi allo stesso tempo, che come suggerisce Pietro nello svolgimento del racconto, cercano entrambi di raggiungere idealmente il monte Meru, un elemento mistico della mitologia buddista, chi scalandolo direttamente e chi scalando prima le sete montagne che lo circondano.

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