Netflix propone Mike Flanagan sceneggiatore e regista di una nuova miniserie, dopo le due stagioni autoconclusive di Hill House, con il suo marchio di fabbrica, un paranormale utilizzato come parafulmine per, in realtà, analizzare le dinamiche di rapporti sociali e psicologici in una comunità ristretta di fronte a determinati eventi.Crockett Island è una minuscola isoletta, ad una 30ina di miglia dal continente, che ospita una piccola comunità composta ormai da una manciata di famiglie, contando in totale solo 127 abitanti. E la comunità vive, nello stesso giorno, un nuovo arrivo e un ritorno. Il ritorno è quello di Riley, un ex chierichetto, diventato poi alcolizzato e isolato sulla terraferma che in seguito ad un tragico evento torna forzatamente nella casa familiare. Il nuovo arrivo è invece Padre Paul, che giunge in sostituzione del vecchio e malato Monsignor Pruitt, ricoverato nel continente in seguito ad un malore accordi dopo un viaggio in terra santa. E per la sperduta comunità, profondamente religiosa ma altrettanto profondamente confusa e zoppicante dal punto di vista spirituale, l’arrivo del nuovo pietre e di alcuni misteriosi accadimenti e altrettanto misteriosi miracoli, costituiranno un appiglio per la maggior parte della popolazione per rinnovare un fervente credo religioso.E il rapporto con la religione e le sue distorsioni sono il tema principale del film, che si evince in prima battuta dai titoli dati ad ognuna delle sette puntate (Genesi, Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Vangelo, Atti degli Apostoli, Apocalisse) sia dai personaggi, che dall’atea e razionale Sarah si snodano in varie sfumature fino alla bigotta e repressiva Bev, quella che però risulta il personaggio più stereotipato e che non vive un vero e proprio sviluppo nel corso della storia. Storia che riesce a utilizzare un paio di temi abbastanza abusati per costruirci qualcosa di un po’ più profondo di quello che potrebbe apparire a prima vista, ponendo questioni e riflessioni etiche e morali su come l’esaltazione e il fervore possano degenerare in cieca e aggressiva violenza, e la fascinazione del Potere, scritto con la p maiuscola, possa essere usato in maniera distorsiva se non saputo gestire. Ci sono alcune questioni irrisolte (volutamente) per lasciare aperto un dubbio sulla reale natura del dono, e questo mi è piaciuto, un finale (le ultimissime battute) che invece mi ha lasciato leggermente interdetto sul “perché” di una cosa, e alcuni dialoghi un po’ troppo verbosi, delle riflessioni interiori usate in forma di monologo che in alcuni casi sono un po’ troppo fumosi, ma sicuramente una bella sceneggiatura, discrete le prove dei principali protagonisti, dove Hamish Linklater, l’interprete di Padre Paul, vince a mani basse sul resto del cast, e soprattutto la regia di Flanagan che dimostra di saper dove mettere mani e cinepresa, tra piani sequenza, ruotazioni a 360 gradi e altri movimenti di macchina sempre mirati.
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