Il Grande Duello – 1972

Questo è un film del filone spaghetti western, cioè quel genere di film esploso negli anni’60 e primi ’70 con produzione, location e attori e troupe italiani ma ambientati cinematograficamente nel west usa. Il genere ha preso popolarità con il grande Sergio Leone, ma ha avuto anche ottimi rappresentanti in Corbucci, Barboni (anche se con il nome d’arte di E.B. Clucher), Colizzi, Sollima ma anche, tra gli altri, Bava padre e Fulci. In questo caso la regia è affidata a Giancarlo Santi, che come regista ha una filmografia veramente scarna, ma come aiuto regista ha lavorato con Leone sul set di due assoluti capolavori come Il Buono Il Brutto e Il Cattivo e C’Era Una Volta Nel West, ed era il candidato a dirigere Giù La Testa al momento del rifiuto di Sam Pekinpach prima che la produzione decidesse di imporre Leone alla macchina da presa. È un film minore nel filone come notorietà e come realizzazione, pur restando un prodotto molto godibile e con un bel ritmo e molti colpi di scena nella sceneggiatura, e soprattutto con alcuni tocchi di classe in alcune scene evocative, e un omaggio al triello finale del film di Leone, con un quadriello 1 vs 3, in un corrall anziché un cimitero, e con una ripresa ravvicinata del celebre scontro di sguardi tra i protagonisti (pur se meno prolungato). Il protagonista principale è Lee Van Cleef nel ruolo dello Sceriffo Clayton, sulle tracce di Philipp Wermeer (Peter O’Brien aka Alberto Dentice) un innocente ingiustamente condannato a morte, inseguito da dei bounty killers assoldati dalla cattivissima famiglia Saxon. Ero incuriosito di vederlo perché tante scene nelle esterne sono state girate a una manciata di km da casa mia, nelle cave di Uliveto Terme, un luogo che mi ha sempre affascinato farci un giro in mountain bike, ma purtroppo è chiuso ai visitatori. E la grande, piacevole sorpresa è stato scoprire che il main theme del film, la stupenda Il Grande Duello di Bacalov, è niente popò di meno che la musica della parte in cartone animato della storia di O-ren Ishii in Kill Bill, a dimostrazione del grande affetto che Tarantino ha per il cinema italiano di genere dei decenni passati. 

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