Persona – 1966

Film di Ingmar Bergman del 1966, e terza pellicola che vedo del maestro svedese. Tre film, tre film completamente diversi, come tematiche e genere, ma tutti con un sottotesto forte e impattante. Un elemento in comune di tutti e tre i film è l’attrice protagonista, la bella e brava Bibi Anderson, vera e propria musa del regista, qui affiancata, ancora una volta, da Liv Ullmann, un’altra attrice feticcio di Bergman. Il film sono loro due, e loro sono il film. A parte brevissime apparizioni della dottoressa e del signor Vogler, tutti gli 82 minuti di film è sulle loro spalle.Liv è Elisabet Vogler, una attrice che, nel corso di una rappresentazione, ha prima un attacco isterico di risa, e poi cade in una totale afasia, che si scoprirà volontaria. Per aiutarla a uscirne, viene affidata alla giovane e dolce Alma (Bibi Andersson) con cui passerà dei giorni in una casa isolata sul mare. Film costruito sui volti delle donne, con una massiccia presenza di primi piani, con la affascinante fotografia di Sven Nykvist, che gioca magnificamente con il bianco e nero, sperimentando con luci e ombre e sovrapposizioni di volti. Perché il film stesso porta a più di un interpretazione. C’è un interpretazione classica, lineare e razionalista, come si può trovare nelle recensioni in rete, e poi, per quanto mi riguarda, anche una molto più personale, che mi ha accompagnato praticamente per tutta la visione del film, per la quale, il confine tra Elisabet e Alma è molto, molto sottile. Per me, sono le due facce della stessa medaglia, o meglio, Alma (che significa anima), così dolce, combattuta e piena di segreti, che si rivela nel corso dei suoi monologhi del film, spesso la sua voce viene sopraffatta da un altra, roca, quella di Elisabet, che conclude per lei il racconto, in un grado di simbiosi troppo elevato. E ancora, il loro rapporto con la genitorialità, o l’uomo, il signor Vogel, che parla con entrambe senza apparente distinzione. È una pellicola misteriosa e oscura, sotto tanti punti di vista, tende a sviarti e confonderti, anche instillando il sospetto di una possibile bisessualità delle due donne, molto legate a livello fisico, e poi le immagini assurde, slegate dal contesto, di una troupe cinematografica, di una pellicola che si brucia, di un bambino, che cerca di spannare uno schermo che ha come immagine un volto di donna, che potrebbe essere sia Elisabet che Alma.Qualunque sia la spiegazione corretta, se davvero ce n’è una, non prescinde da un risultato elevato del film, che, come già gli altri due precedenti, ti lascia il solito desiderio di rivederlo ancora. Una cosa piuttosto rara.
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