Parasite – 2019

Dopo averlo visto, capisco l’entusiasmo che ha generato e anche la montagna di premi che si è portato a casa. È un gran bel film. Punto. È ben girato, ha una fotografia pazzesca, capace di cambiare colori, le scene che riguardano la famiglia ricca dei Park sono calde e luminose,  mentre le riprese sulla famiglia protagonista, gli indigenti Kim, sono fredde, sui toni del grigio, per ampliare ancora di più la distanza sociale. 
La trama è abbastanza semplice, è il tentativo dei Kim, di riuscire a guadagnare economicamente e socialmente grazie a dei sotterfugi e piccoli espedienti truffaldini, messi in atto per farsi assumere come domestici presso una ricca, molto ricca, famiglia coreana. Ed all’inizio sembra andare tutto bene, ma quell’odore di povero ti rimane addosso nonostante tutto.
La pellicola è scorrevole, e parte come una commedia per tutta la prima parte, per poi virare gradualmente quasi in thriller nella seconda, pur mantenendo dei risvolti leggeri in alcuni momenti, cosa che fa crescere la tensione e, per certi frangenti, ti prende anche un po’ allo stomaco. Lasciando da parte ogni tipo di lettura sociale, di lotta tra classi e ad un sistema capitalistico, come è già stato analizzato da persone ben più esperte, io ci ho visto piuttosto un ineluttabilità della propria condizione, una separazione quasi platonica, ogni sforzo è vano, e come dice il capofamiglia Kim, l’unico piano è non avere un piano, in modo che niente possa andare storto. 
Nettamente il miglior film visto negli ultimi mesi, e, tra i candidati a miglior film per l’oscar 2020 che ho visto, quello che mi è piaciuto di più, decisamente 6 euro di biglietto del cinema spesi bene.


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