IT – Romanzo – Stephen King – 1985

Ha dormito. Ha dormito per 26 anni. Poi, come ogni maledetta volta, si è svegliato, è uscito dalla sua tana, nascosta nelle profondità, ed è tornato in superficie. Era già qualche mese che se ne sentivano le avvisaglie, che c’era quella strana sensazione, quel misto di inquietitudine, di attesa, che ti prende alla bocca dello stomaco e non ti lascia libero. Che senti che c’è qualcosa che non va, che hai necessità di fare qualcosa di importante, di strano, di pauroso. Come quando scendi le scale in una stanza buia, una cantina magari, e ad ogni passo ti attendi che una mano, o un artiglio, ti ghermisca il piede. E sai quale è l’unico modo per risolvere questa inquietante attesa dell’inevitabile. Dovevo rendermene conto subito. Le foto con tag strani, le voci di un suo imminente ritorno (al cinema)…per un po ho cercato di evitarlo, ma la soluzione non è ignorarlo, lo rende solo più forte. Il mostro va affrontato. E ho preso la decisione, quella giusta. Cosi, alla soglia dei 40 anni, sono tornato un Perdente. Esattamente come lo ero stato 26 anni fa, ma in maniera diversa. Ero un giovane adolescente, inesperto, impaurito ma risoluto. E quella esperienza mi ha segnato. Non a caso, da quel momento, è stato il mio libro preferito di King, uno dei miei cinque in generale. E dopo ora, ancora di più. È come quando trovi le due parti uguali della mela, o i pezzi combacianti del puzzle. È qualcosa di più delle singole parti. È più della narrazione, della descrizione dei luoghi e delle persone, della forza e carisma dei protagonisti, della malevole atmosfera della cittadina, della paura per il mostro, la sua non è cattiveria gratuita, ma infida, maligna ineluttabilità, da ormai migliaia di anni. È più di un romanzo sull’amicizia, o su una lotta contro il male.
È il fatto che sei tu lì dentro la storia, sei uno dei Perdenti, sei Bill, sei Ben, sei Beverly, Ritchie, Eddie Mike e Stan, sei uno dei bambini uccisi, sei uno dei prepotenti bulli, sei la Tartaruga, sei It stesso. Sei catapultato in un altro luogo, in un altro tempo, e leggere, o rileggere, It, è fare il tuo rito di Chud, il tuo viaggio nelle profondità del macroverso, verso i Pozzi Neri, i tuoi Pozzi Neri. Vivi quello che leggi, perché una volta ancora, vivi la tua adolescenza degli 11,12,13 anni, quando non c’era niente che poteva fermarti, quando il futuro spaventava neanche tanto, era il presente che contava, era l’estate, e gli amici, e i giochi, i piccoli segreti, la frescura degli alberi, i capannini, le merende comprate con gli spiccioli, tutte queste cose e mille di più, che sapevi non avresti più vissuto, perché sono quelli i momenti che più spesso tornano a galla, a volte neanche in forma di ricordi veri e propri, ma in sensazioni che ti scatenano nostalgia, in quell odore, quei piccoli déjà vu quando ripassi in alcuni posti e hai le antenne ricettive e non sei distratto dalle abitudini e pensieri del tuo Io non più adolescente, allora li senti, e torni lì, in quel tempo e in quel luogo, anche solo per pochi, pochissimi istanti.
Ed è questa la forza di questo enorme, emozionale romanzo. È la capacità di farti vivere una storia, inventata, attraverso la tua, vissuta. E ogni tanto, è necessario che il mostro riesca dalla sia tana, dopo un letargo di anni, per tornare a mietere vittime, ed affrontarlo di nuovo.

Avevo dimenticato, ora, per un po, ricorderò. Ma poco, poi, come la prima volta, tornerà tutto sepolto. Fino al prossimo ciclo, quando forse avrò 65 anni. Forse sarò troppo vecchio per affrontarlo. Forse risultero’ agli occhi miei e altrui ridicolo, un anziano che pretende di affrontare il mostro…ma non importa, va fatto quello che va fatto.

 

 

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