Rock is dead?

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Voglio iniziare questa nuova avventura del blog con gli amici di minifisto con una riflessione a carattere musicale generico. Il rock è morto dicevamo. Già il rock…. Cosa è rock, come facciamo ad etichettare la musica nei generi, a catalogare. Personalmente ho sempre pensato che fosse una forzatura, una catena che non rende giustizia alla voglia di libertà della vena creativa degli artisti. Ma se pensiamo al rock nella sua accezione classica mi domando, cosa è rimasto di quella forza, di quella energia, di quella magia,  è ancora possibile nel panorama musicale moderno parlare di rock come ne parlavamo tanti anni fa? L’industria discografica ha cambiato completamente volto puntando sul format televisivo dei talent da sfruttare e monetizzare poi con ulteriore propaganda delle major (da Sanremo in su) cercando di vendere volumi accettabili di “dischi”, nel tentativo di contrastare il download gratuito. Ma la sostanza che roba è, che cosa ascoltiamo, anzi che cosa ci fanno ascoltare radio e tv……quasi esclusivamente prodotti preconfezionati, prodotti plastificati, cuciti addosso a giovani ragazzi che spesso vengono bruciati nell’arco di un paio di album, alcuni bravini, ma troppo spesso senza anima e quasi mai cantautori autonomi.  Un mercato quasi tutto in questa direzione, un pop algido e narcotizzante per un pubblico distratto, spesso poco colto e raffinato, alla ricerca della immediatezza.

Rock è passione, è poesia, è il sudore di centinaia di ore di prove nelle cantine, di anni di serate sottopagate in locali di bassa lega, è l’odore acre che respiri nei concerti, è l’intuizione, la tecnica, il talento,la ricerca,  la dedizione. La libertà di composizione.

É quindi morto? No, è anestetizzato, messo ai margini, spesso escluso dai media. Lo senti respirare nelle etichette indipendenti, disperarsi in qualche pub di periferia, lo senti urlare dai bassifondi schiacciato da tonnellate di pop industriale. Ma è ancora vivo, va cercato e incoraggiato, va coltivato, va vissuto.

Va ascoltato

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