
La poetica di Bergman traspare già dalle prime scene, venendo subito a conoscenza del patto tra il cavaliere templare Antonius Block, appena tornato in patria dalle crociate, con La Morte, che si risolverà in una partita a scacchi. Il film si snoda nel viaggio di Antonius e del suo scudiero Jobs, con i vari personaggi che incontrano e con cui interagiscono, e ha come predominante il rapporto del cavaliere con la fede, un rapporto ormai roso dal dubbio e dalla ricerca di un senso della vita e delle proprie azioni, alla continua ricerca di un segno da parte del Signore. A fare da contrappunto con i dolori dell’anima del buon cavaliere, è il suo scudiero, timorato della morte ma praticamente ateo, agnostico, completamente sfiduciato dalla religione, una ferma presa razionale e critica, che crea un ironico e grottesco alter ego di Antonius.
Momenti memorabili e topici della pellicola sono molti, dai vari dialoghi di Block con La Morte, soprattutto quella nel convento, e il momento dei buffoni, in cui mentre due di loro (gli sposini Mia e Jof) mettono in scena una canzoncina sulla vita, si vede gli ammiccamenti e gli amoreggiamenti molto poco pudici tra il terzo attore e la moglie del fabbro, momento satirico interrotto bruscamente e in maniera forte dall’arrivo dei penitenti, scivolando improvvisamente dalla commedia alla tragedia, fino alla scena finale della danza macabra all’albeggio dopo la tempesta. Ma è difficile scegliere una scena o un altra, perché ogni momento è parte della storia, impossibile dimenticare la bolla di amore e pace in cui vivono Jof e Mia con il piccolo Mikael, che avrà un ruolo centrale, se non addirittura decisivo, nel film. A livello iconico, perfetta La Morte, così terribilmente paziente e calma quanto cinica, amara e crudelmente ironica.
E, nella edizione italiana, si può godere delle voci di alcuni tra i più grandi doppiatori italiani, da Emilio Cigoli a Pino Locchi e Ferruccio Amendola.
Assolutamente da guardare, più e più volte.
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